Grandi imprese al bivio: addio al Csr manager, nasce il sustainability manager

La funzione del responsabile Csr “potrebbe passare in secondo piano nel momento in cui le aziende fanno propria la sostenibilità come strategia di tutta l’impresa”. A dirlo è Peter Bakker presidente e amministratore delegato del World Business council for sustainable development.
E’ un effetto secondario ma fondamentale della direttiva 95/14, entrata in vigore nel nostro Paese il 25 gennaio scorso. Una normativa complessa, la cui essenza può essere così riassunta: le imprese di interesse pubblico – o comunque con oltre 500 dipendenti – hanno da oggi l’obbligo di inserire nella relazione sulla gestione una dichiarazione di carattere non finanziario contenente informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione. E’ l’ingresso dei bilanci di sostenibilità nelle nostre imprese. Ma può essere molto di più: l’avvio di una fase nuova per la stessa idea di sostenibilità d’impresa. Come spiega Elio Silva sul Sole 24 Ore del 3 aprile questa normativa può infatti contribuire a integrare la sostenibilità nella strategia d’impresa. Tema chiave per la produzione di un valore condiviso che si sottragga alla logica del “breve periodo”, come ha scritto di recente proprio sul Sole 24 Ore Paolo Ceresi, partner di MBS Consulting (Le cinque fasi vincenti per un’azienda sostenibile).

Tornando alla frase di Bakker può apparire paradossale che tutto questo possa tradursi in una irrilevanza della funzione di Csr. Diventa però meno paradossale se si considera come la Responsabilità sociale d’impresa è stata fino ad oggi vissuta dalla maggioranza delle imprese, non solo italiane. Una dimensione ex post, secondaria, ancillare rispetto a strategie e processi. In sintesi: prima il business, poi la responsabilità d’impresa. Una Csr a due tempi insomma, o meglio “del tempo secondo”. La stessa figura del Csr manager ha spesso vissuto in uno stato di minorità: poco inserito nei processi decisionali, con scarsa audience interna. Quasi una figura “riparatoria”, rispetto a strategie e processi concepiti in modi sconnessi da logiche di sostenibilità.

Il dlgs 254/2016, che traduce nel nostro ordinamento la direttiva Ue 95/14, può dunque avere questo primo effetto concreto: segnare la fine del Csr manager così come finora lo abbiamo conosciuto e avviare la nascita del sustainability manager. Una figura che entri davvero nei processi decisionali e di programmazione strategica, sieda nei board dove si prendono le decisioni chiave, assicuri la sostenibilità dei processi aziendali, monitori gli effetti di un approccio sostenibile sugli stakeholder dell’impresa. Portando il concetto all’estremo dell’integrazione non solo tale figura potrebbe cambiare ma essere del tutto sostituita da un approccio dove ogni manager è responsabile della sostenibilità della propria unit…   Sappiamo bene che queste trasformazioni non avvengono per legge. Le normative possono essere però un impulso al cambiamento, e favorire un cambio di cultura aziendale. L’obbligo dei “bilanci di sostenibilità” può dunque essere la leva per un cambiamento più ampio.